La settimana scorsa, il colosso di Mark Zuckerberg ha introdotto le Facebook Reaction, ovvero le «cinque nuove faccine» che integrano il più noto pulsante «like». Le aspettavamo da mesi: erano infatti già state anticipate a ottobre 2015, con un progetto beta limitato a pochi eletti spagnoli e inglesi. Oggi, le emozioni sono a portata di tutti, dentro e fuori Facebook, ma abbiamo veramente bisogno di far risuonare sopra i tetti del mondo i nostri barbarici grrrr, wow, sigh?
Qualcuno sperava piuttosto nel tasto «dislike», ma Menlo Park giustifica la scelta: a quanto pare alla maggior parte degli utenti il vecchio tasto «like» non bastava e sentiva la necessità di esprimere reazioni diverse soprattutto davanti ai post delle catastrofi naturali, delle ingiustizie, delle avversità.
Anche se rispondono a un’esigenza nuova ed effettivamente sentita, non si può dire che le Facebook Reaction siano una grande novità. La discendenza diretta riporta in vita le cosiddette «emoji» (dall’unione di «immagine» e «moji», «carattere, lettera»), ovvero i pittogrammi nati in Giappone meno di trent’anni fa e, prima ancora, le «emoticon». Queste ultime sarebbero apparse, per la prima volta, addirittura nel magazine Puck del 1881.
Secondo uno studio del Global Language Monitor, nel 2014 la parola dell’anno, quella più amata e usata dal mondo, era proprio un’emoji, ma non un’emoji qualunque, probabilmente l’unica che poteva racchiudere e rappresentare in sé secoli e secoli di evoluzioni letterarie, musicali e artistiche: ♥ (Heavy Black Heart).
«La lingua inglese sta attraversando un periodo di sostanziale trasformazione che non ha eguali nei suoi 1.400 anni di storia» (Paul JJ Payack, presidente di GLM)
L’Oxford University Press e Swiftkey, invece, ritengono che la primissima «parola» dell’anno 2015 sia stata niente di meno che la «Face with Tear of Joy».
Le Facebook Reaction non sono nient’altro che un prodotto linguistico nato come conseguenza di un fenomeno culturale tecnologico. Devono la loro forza all’immediatezza di comprensione, ma possono essere considerate un vero e proprio linguaggio? Gli esperti di linguistica sono abbastanza decisi su questo punto: in base all’utilizzo dei nuovi termini, i dizionari riportano e fanno diventare parte di una lingua eventuali nuovi segni, parole o neologismi nati spontaneamente e altrettanto spontaneamente diffusi in larga scala (vedi «petaloso»).
Dunque anche le emoji possono diventare delle vere e proprie parole. D’altra parte, l’Oxford Dictionary le considera già tali.
Finora, i classici «like» e «share» sono stati, per Facebook, un metro di misurazione economica sull’utilità e sulla notorietà dei contenuti pubblicati dalle fanpage e dagli utenti. Oggi, l’introduzione delle Facebook Reaction porta inevitabilmente a un ulteriore cambiamento negli automatismi degli utenti, nelle loro capacità di esprimere concetti e ragionamenti complessi, dando allo stesso tempo un indubbio vantaggio alla sempre più precisa profilazione degli account.
«Uno dei grandi trend su FB, e più in generale nel web, è che man man che il tempo passa, le persone hanno un medium sempre più ricco per condividere quello che è importante per loro. Se andiamo indietro di 10-15 anni, la maggior parte dei contenuti che condividevamo nella rete era testo. Negli ultimi 5-10 anni sono invece foto, visual, graphical content. Nei prossimi anni entreremo in quella che sarà la “golden age of internet video”. Il principale modo di condividere […] e consumare le esperienze degli utenti, e altre idee online, sarà attraverso i video. […] Ma non penso che i video saranno “the end of the line”» (Mark Zuckerberg)
Con i primi social button, Facebook era già riuscito a conquistare l’intero web. Ora, incrementando il loro potenziale e prospettando anche un motore di ricerca interno con addirittura più dati di quelli che già fornisce Google, rincorre letteralmente l’idea di centralizzare la rete all’interno della piattaforma, proponendo una nuova concezione di web: il social web.
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